BRINDISI- ( Lucia Pezzuto per Il7 Magazine ) “Dalla buia cella in cui ho passato gli ultimi anni della mia vita sono a chiedervi perdono per la vita spezzata del vostro caro congiunto. Il dolore è un vero e proprio calvario come quello della crocifissione a cui a volte si è chiamati”. Queste sono le prime righe di una accorata lettera scritta dall’ex vigilante Crocifisso Martina, originario di Torchiarolo, detenuto nel carcere di Matera ed indirizzata ai famigliari di Marco Tedesco, l’uomo che Martina uccise durante un furto con spaccata ad una stazione di servizio 16 anni fa. La lettera è datata 2 novembre del 2022 , a distanza di due mesi e mezzo Martina ha ricevuto la grazia parziale dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. L’intervento di Mattarella, giunge dopo la richiesta di grazia inviata al Colle dalla figlia di Martina, Jenny, assistita dal legale Maria Terrisi del foro di Taranto, che permetterà all’uomo di scontare sei anni in meno di pena e di uscire pertanto dal carcere non più nel 2033, ma, anche grazie ad alcuni sconti di pena, nel 2026. Crocifisso Martina non si è mai sottratto alle sue responsabilità sebbene abbia sempre sostenuto che si trattò di una tragica fatalità. Era il 24 gennaio del 2007 e Martina iniziava il suo turno, lo racconta anche la figlia nelle lettera indirizzata a Mattarella. Mentre lavorava e vigilava la stazione di servizio Q8, sulla strada statale 613, all’altezza di Trepuzzi, intercetto un gruppo di malviventi che con volto travisato stavano mettendo a segno una spaccata facendo scattare l’allarme. Ne nacque una sparatoria: “nonostante fosse solo, perché i vigilanti lavorano da soli, cercò di non rispondere al fuoco schivando i colpi dietro l’auto di servizio- racconta Jenny- chiamò i suoi colleghi che eseguirono l’inseguimento. Furono sparati dei colpi di avvertimento da parte di mio padre , ma a sua insaputa, la scheggia di una di questi colpì un rapinatore che purtroppo morì sul colpo”. Quel giorno perse la vita Marco Tedesco, 27 anni di Brindisi, ed anche la vita di Crocifisso Martina in qualche modo si spense. La guardia giurata per quell’omicidio il 21 giugno 2019 è stata condannata in via definitiva a 14 anni di carcere. “Mai nella vita credi che possa accaderti e allo stesso tempo accadere agli altri per mano tua- scrive Martina dalla sua cella- In questi lunghi anni ho fatto a pugni con me stesso, lacerandomi cuore e anima. Perché so perfettamente che in quel momento si sono distrutte per sempre due famiglie, la mia e la vostra. E’ strano trovarsi a scriversi. Ed è strano doverlo fare con il cuore pieno di lacrime. Chiedervi perdono, Misericordia , tendervi le mie mani, è figlio di un cammino lungo e tortuoso. Il dolore non ha colore e né sentimento alle volte, e in questo caso, ha preso a schiaffi la vostra vita. Ho tolto a voi ciò che è innaturale e che non si immagina mai di fare. Non sono qui a trovare giustificazioni. Una morte è la morte e di sicuro per tutti voi è più scuro delle tenebre. Ma voglio che sappiate che non c’è giorno che io non pensi a quegli attimi, che pur non volendo, hanno cambiato per sempre le nostre vite”. L’uomo, che oggi è prossimo ai 70 anni, è distrutto dal senso di colpa ma tenta ancora di ottenere il perdono dalla famiglia Tedesco . “C’è una parola che ha una forte capacità di riuscire a scardinare ogni passo e ogni tempo che facciamo e che percorriamo ed è il perdono. Ve lo chiedo con Misericordia e profondo dolore. E con questo rosario stretto tra le mie dita. Chiedo perdono perché ho distrutto due famiglie. Ho cancellato sogni e speranze- insiste Martina nella sua lettera- Ve lo chiedo in piena umiltà e con la consapevolezza che nulla potrà cambiare ma il mio non è un gesto ma un vero e proprio atto di piena misericordia. Perdono e dolore, parole cariche di sangue trasfuso che sento dentro di me e che batte nel mio cuore. Chiedo perdono a ciascuno di voi con la piena consapevolezza che accetterò qualsiasi vostra risposta ed anche il silenzio. Quel silenzio che dal 24 gennaio 2007 è caduto dentro di me. Perdono , vi chiedo perdono. E che tutto questo possa essere un abbraccio di calore al vostro sacrosanto dolore”. I famigliari di Marco Tedesco dicono di non aver mai ricevuto quella lettera e in ogni caso di non essere disposti a perdonare. “Mio fratello è morto ed è un dolore che non si può superare- dice Teresa, sorella di Marco Tedesco- non possiamo perdonare. E’ vero, mio fratello ha commesso degli errori ma non meritava di morire e lui non doveva fare l’eroe e sparare , doveva aspettare la polizia. Ora gli hanno dato anche la grazia. Non è giusto. Siamo profondamente scossi da questa cosa”. Le parole di Teresa sono lapidarie e sembrano non lasciare spazio ad altre interpretazioni o speranze. Ma la figlia di Crocifisso, Jenny , invece ci ha creduto e lei che ancora una speranza poteva averla ha fatto di tutto affinché il capo dello Stato comprendesse il dolore e la disperazione del padre. “Non smetterà mai di sentirsi in colpa per la morte accidentale di quell’uomo- scrive nella richiesta di grazia- lui che ha sempre creduto nella giustizia, nel bene e soprattutto nella difesa della vita, nel suo lavoro che lo aveva tenuto lontano dai suoi cari. E’ stata una doppia condanna che lo tormenta dal giorno dell’incidente e lo tormenterà fino alla fin dei suoi giorni”. Jenny descrive il padre come un uomo irreprensibile, che ha dedicato la sua vita alla giustizia e dalla giustizia in qualche modo è stato punito. “L’esistenza di mio padre narra una storia di sensibilità verso il mondo della legalità , della giustizia e della sicurezza pubblica che stride profondamente con le trame di un processo penale , che ha invece decretato la sua responsabilità in aperta incompatibilità con l’impegno profuso personalmente durante la sua intera vita dedicata al contrasto quotidiano alla criminalità anche in quella che si manifesta nelle sue forme più violente e socialmente allarmanti- scrive la ragazza- Mio padre è sempre stato un esempio positivo sicché l’atto di clemenza appare l’unico mezzo di riparazione in senso equitativo e di rimedio alle possibili incoerenze del sistema rispetto al senso di giustizia sostanziale a fronte di una pena che , considerata la sua finalità, non ha alcun senso, in quanto si traduce in una illegittima duplicazione del percorso di riabilitazione e in un trattamento inumano e degradante, sebbene legalmente disposta da una condanna definitiva in quanto non vi sono aspetti della personalità che appaiono meritevoli di attenzione, trattamento e rielaborazione”. Quelle parole hanno colpito il presidente Mattarella che lo scorso 22 gennaio ha concesso la grazia, seppur parziale. Non è stato un procedimento semplice, ammette anche l’avvocato della famiglia Martina, Maria Terrisi, e forse non alleggerirà il cuore di questo uomo che poterà con sé un pesante fardello per il resto della sua vita. La sua famiglia e il suo legale però sono convinti che non meritasse una pena così dura. “In carcere ho incontrato un uomo distrutto ma dignitoso. Un uomo che, dopo aver speso una vita a fianco delle forze dell’ordine, si è visto scaraventato in un inferno per un evento da lui non voluto- spiega il legale- Era intervenuto a capo di una pattuglia di vigilantes chiamati a sventare una rapina ad una stazione di servizio. Avrebbe potuto fare finta di niente. Invece, ha fatto il suo dovere. Ne è nato un inevitabile conflitto a fuoco in cui ha perso la vita uno dei rapinatori. Una tragica fatalità quella avuta a causa del rimbalzo di una scheggia di proiettile, partita dalla pistola del Martina, sul un auto parcheggiata che finisce per uccidere uno dei rapinatori, Marco Tedesco. Una tragica fatalità che lui ha pagato con una incredibile condanna a 14 anni. In carcere, dove è entrato nel 2019, ha sempre protestato la sua innocenza e la sua incredulità. Ma non ha mai perso la sua fiducia nelle istituzioni. Gli ho proposto di chiedere la grazia al Presidente della Repubblica confidando nell’altissimo senso di umanità e giustizia del Presidente. Il quale non ci ha deluso ed ha concesso una grazia parziale di sei anni in virtù della quale Martina a breve potrà uscire dal carcere in affidamento in prova grazie alla buona condotta già riconosciuta. Finalmente il Presidente Mattarella ci ha dimostrato che esiste una giustizia dal volto umano. È stato un lavoro lungo, paziente e meticoloso in cui mi sono sforzata di coniugare il tecnicismo giuridico con l’aspetto umano della vicenda, evidenziando come della stessa fosse protagonista un uomo lontano anni luce dal prototipo del criminale. In questi anni ho affrontato il caso con determinazione e questo ha aiutato il mio cliente a non perdere la speranza che, purtroppo, spesso viene abbandonata quando si varcano le porte del carcere”.
BrindisiOggi
Commenta per primo