Sanità territoriale e transizione ecologica: Brindisi tra criticità e nuove opportunità

INTERVENTO/Coesistono almeno due argomenti nell’attuale dibattito comunitario brindisino, la funzionalità del Sistema Sanitario pubblico e l’approccio ideologico alla questione energetica, che meriterebbero più coerenza da parte della politica e delle istituzioni locali, proprio perché noi crediamo davvero che la pandemia possa e debba considerarsi opportunità cogente affinché il Paese, nella sua interezza, realizzi il vero cambio di passo da tutti auspicato.

In campo sanitario, non la prima ondata del Covid-19, né la seconda, neppure la terza con varianti annesse hanno recuperato al SSN (ex lege n.833/78), nato con principi nobili ma trattato nel corso dei decenni successivi come una pura azienda in cui razionalizzare costi e personale, una vera appropriatezza contrariamente a quanto spesso viene decantato a sproposito.

Medici infermieri, Operatori Socio Sanitari, cui va riservato rispetto e gratitudine, sono gli unici soggetti sui quali possono contare pazienti e cittadini.

Va ridisegnata, dunque, per intero la medicina territoriale, vanno ripristinati diritti e funzionalità sottratti da una riforma del sistema ospedaliero evidentemente incompleta ed insufficiente.

Quanto alla questione energetica, con bollette alle stelle, imprese in ginocchio, famiglie che dovranno sempre più rinunciare a quote significative del proprio bilancio, per avere luce in casa e un po’ di riscaldamento, veramente si rasenta l’umiliazione sociale.

Il gas si sta dimostrando l’unica ancora di salvezza per traghettare la transizione ecologica ed aver dimezzato il progetto iniziale dell’Enel a Brindisi, che prevedeva una produzione pari a 1.680 megawatt, risulta quanto meno paradossale in un momento straordinario come quello attuale in cui è a rischio la sicurezza energetica del Paese.

La crisi energetica in atto, che ha colpito particolarmente l’Europa, dimostra chiaramente, senza essere cultori di relazioni internazionali e/o di geopolitica, che l’indipendenza politica di uno Stato è strettamente correlata alla sua stessa indipendenza energetica.

Non si spiegherebbero altrimenti i focolai di guerra ed i ricatti politici che lambiscono i confini dell’Europa dell’Est, imperniati proprio sulla questione energetica.

Oggi chi si erge a paladino delle fonti rinnovabili e pontifica contro quelle tradizionali,  quanto meno dovrebbe manifestare coerenza.

In merito al dibattito europeo sulla tassonomia delle produzioni green, la posizione della Germania, che già nel 2011 con Angela Merkel decise di spegnere metà dei reattori nucleari all’indomani dell’incidente di Fukushima, non solo creerà ulteriori problemi sul mercato energetico europeo ma, addirittura, comporterà un maggior utilizzo di produzione derivata dal carbone.

Infatti, la generazione di energia elettrica da fonte fossile in Germania passerà dal 37% del 2020 al 44% del 2022 (Fonte: Environmental Progress).

Non si tratta, certamente, di promuovere ancora il carbone, perché c’è da salvare un pianeta finora trattato come proprietà privata ma, almeno di fronte all’attuale pandemia anche energetica oltreché sanitaria, sarebbe il caso di usare più ragionevolezza e meno strumentalizzazioni.

Insomma,  si realizzi una politica energetica che traguardi senza dubbio la neutralità climatica ma frattanto non si origini anche una pandemia occupazionale, dal momento che le scelte finora operate hanno fatto pagare a cittadini e imprese una bolletta energetica tra le più alte in Europa, non sottacendo che le rinnovabili hanno attratto risorse significative (scaricate sulle bollette) oltre a calamitare, in molti casi, anche illegalità.

I costi sociali che stanno emergendo per via della transizione energetica, che già sono evidenti nella realtà del polo energetico di Brindisi, non siano ulteriormente aggravati  da una miopia strategica che  demonizza la produzione da gas a prescindere.

Pertanto, cogliere l’occasione del dibattito in seno all’Ue per la classificazione delle energie green – che prevede il gas tra queste – potrebbe velocizzare gli investimenti previsti, nel territorio brindisino, da Enel ad A2A, sia per il gas che per gli impianti di fotovoltaico, al pari di quelli su eolico da parte di Falk.

E, oltretutto, dar seguito ad un serio progetto su un centro di produzione dell’idrogeno, che da più parti si rivendica ma finora senza esito.

Al riguardo, auspichiamo che il progetto di Edison, in accordo con Saipem, Snam e Alboran,  per realizzare tre impianti di produzione di idrogeno verde a Brindisi, Taranto, e Cerignola, prenda piede quanto prima.

Insomma, è il tempo di remare tutti verso obiettivi condivisi, portando a sintesi sensibilità diverse ma con l’obiettivo unico del bene comune e del progresso produttivo, sociale ed occupazionale di questa parte di Mezzogiorno in attesa ancora di compiuto riscatto.

Gianfranco Solazzo

Segretario Generale Cisl Taranto Brindisi

 

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