(PAROLE E LAVORO) di Alessandra Amoruso. Sento spesso parlare di “competenza” ultimamente. E questa cosa mi ha fatto riflettere su come, per me, la competenza abbia sempre fatto la differenza, nel bene e nel male. Ma partiamo dall’incomincio (diceva qualcuno).
La competenza , da vocabolario, è la perizia, abilità, cognizione, esperienza in un campo, in una determinata attività. E’ il saper agire, utilizzando le conoscenze specifiche, scelte azioni comportamenti utili a raggiungere alcuni risultati in una determinata situazione.
Non è acquisita, normalmente, ma può trovare un terreno fertile in alcune nostre attitudini o anche in un talento (in un buon comunicatore per esempio spessissimo la competenza comunicativa si regge su un’attitudine naturale). E’ essa stessa il risultato di un lungo lavoro di studio e di esercizio.
Si deve studiare insomma e poi si deve praticare. Un titolo di studio quindi può non corrispondere ad una provata competenza.
Non è mai definitiva. Nel senso che va contestualizzata e aggiornata sempre rispetto all’evolversi delle condizioni di esercizio. Lo si può fare continuando a studiare, aggiornandosi (la famosa formazione continua) o percorrendo strade diverse dalle solite nel tentativo di raggiungere e migliorare un risultato.
Quindi la competenza costa. Tanto. Sempre. Ci sono dentro, in genere, tutti i sacrifici di chi ha dato a qualcun altro la possibilità di studiare e poi tutta la motivazione, la determinazione, il lavoro di chi l’ha fatta propria e cerca di migliorarla ogni giorno. In genere si chiama professionista.
Caratterizza gli ambienti di lavoro. Capisci subito se in un’azienda o in un’organizzazione è considerata risorsa piuttosto che fastidioso impiccio. Senza vie di mezzo purtroppo. E per quanto io ne sappia quelle che si contraddistinguono, nel lungo periodo, per capacità di sviluppo, per lungimiranza, per risultato, sono quelle (organizzazioni) in cui la competenza è vista come insostituibile ricchezza.
Certo richiede impegno anche da parte di chi la utilizza. L’impegno costante del confronto, della ricerca di convergenza, della curiosità e dell’ascolto. L’impegno del cambiamento, del provare a fare la stessa cosa in modo diverso o del fare cose del tutto nuove. Ma ripaga l’investimento. Perché poi la risorsa umana che si sente valorizzata e vede apprezzata l’esperienza che porta con sé ( e che tanto è costata) restituisce sempre qualcosa in più del dovuto, del famoso minimo sindacale. Le aziende si arricchiscono così.
Le comunità crescono così. Si perché la competenza è contagiosa. Vivere accanto a persone che fanno bene e che cercano ogni giorno di migliorare ti spinge o ti costringe a fare del tuo meglio. Comunque. Così come è terribilmente e spaventosamente vero il contrario. E’ la così detta forza dell’esempio, quello che vale più di mille parole. A maggior ragione quando l’esempio viene da chi volente o nolente rappresenta un riferimento.
Non è un caso che intere nazioni abbiamo deciso in passato e investano attualmente in modo importante sullo sviluppo delle competenze dei propri cittadini e soprattutto delle giovani generazioni. O che alcuni territori si differenzino da altri in termini di sviluppo economico e culturale. Sono nazioni o territori che hanno scelto di investire sul potenziale di sviluppo legato alla preparazione delle proprie risorse umane, sulla competenza come leva di crescita.
La competenza non è neanche dunque una questione di razza o di territorio di appartenenza. Non è legata all’essere donna o uomo. Anche se c’è ancora qualcuno che stupidamente, lasciatemelo dire, lo crede.
E non riguarda solo noi o i nostri figli. Competente è il figlio di chiunque con cui abbiamo a che fare o potremmo avere a che fare, come colleghi, come dirigenti, come imprenditori, come famosa classe dirigente. Altrimenti che senso avrebbe continuare a fare studiare i nostri ragazzi? O ci si crede nella competenza, come modello di sviluppo, come motore di crescita, come faro per il cambiamento o … o meglio lasciar perdere.
Perché la competenza fa la differenza, dicevamo. Già. Nel bene e nel male. Ma a questo punto non credo sia più necessario spiegare perché.
La società attuale non ha tempo per i valori , perchè non interessano ,come tante altre cose necessarie alla crescita umana .Peccato è e sarà una scommessa dura di pochi.