Uomini violenti, aumentano le “donne coraggio”, Lia Caprera: “Serve maggiore coordinamento”

BRINDISI – (da il7 Magazine) Lui le aveva fatto delle avance e l’aveva offesa, lei ha risposto con uno spintone, e lui l’ha presa calci procurandole delle lesioni gravissime al volto, all’occhio e alla testa. La donna di 33 anni è ricoverata al Policlinico di Bari, ha subito due interventi chirurgici all’occhio e alla faccia, ha riportato tagli, lesioni interne e un trauma cranico. Per i medici dovrà restare in ospedale almeno 40 giorni. Un pestaggio brutale in un bar di Ceglie Messapica. Lui l’aggressore ha 24 anni, ed è di Ceglie, ha qualche precedente per droga. Dopo l’aggressione era fuggito via, i carabinieri della compagnia di San Vito dei Normanni lo hanno identificato poco dopo, ha rimediato solo una denuncia a piede libero. Almeno per il momento, perché la sua situazione potrebbe complicarsi  visto le lesioni gravi. La donna è di Taranto, era a Ceglie con due sue amiche per trascorrere la serata. Dal 9 febbraio è ricoverata al Policlinico, era stata prima portata al Pronto soccorso dell’ospedale Perrino di Brindisi, poi a causa delle gravi ferite è stata trasferita a Bari. L’uomo si è scagliato contro di lei con una violenza inaudita. Questo è solo uno dei tanti episodi di violenza perpetrata da uomo nei confronti di una donna verificatosi negli ultimi mesi sul territorio di Brindisi. Solo il 18 febbraio scorso i carabinieri hanno arrestato a Mesagne un uomo di 46 anni che per due volte ha tentato di entrare nella casa dell’ex moglie. Prima ha mandato messaggi minatori, poi è salito sul suo terrazzo, e dopo due ore e mezza ha sfondato la finestra dell’abitazione ed è entrato all’interno. L’ex moglie  ha temuto il peggio ed è scappata.

Incubi che vanno avanti per anni. Mariti violenti che fanno perdere ogni autostima, botte davanti ai figli. Pressioni psicologiche che fanno diventare fragili, e poi ex compagni che non accettano le separazioni e scatenano la loro ira.  A tutto questo si aggiungono i casi dei padri padroni, con violenze fisiche ma anche sessuali nei confronti delle figlie. Mondi terribili che si vivono nelle proprie case, e che troppo spesso si ha vergogna o paura a denunciare. Ma i numeri parlano chiaro anche nella provincia di Brindisi: le donne coraggio, perché ce ne vuole tanto, sono aumentate, sono infatti aumentati i casi segnalati e le denunce presentate. I carabinieri della Compagnia di San Vito, con il loro comandante Antonio Corvino,  hanno realizzato con le proprie disponibilità economiche, all’interno della caserma, una stanza di ascolto dedicata alle donne e ai bambini vittime di violenza. È pronta da otto mesi questa saletta con le pareti colorate, gli arredi per bambini e anche dei giochi e dei peluche. I militare di tasca propria hanno comprato la vernice, il tavolino e le sedie e persino i pupazzi. Un luogo che possa essere il più confortevole possibile, perché chi vive un dramma simile ha bisogno soprattutto di protezione, fisica ma anche psicologica.

Nella città di Brindisi esistono due centri antiviolenza, un altro è a Ostuni e l’altro  ancora a Francavilla Fontana. Sono centri in cui le volontarie e le operatrici offrono ascolto telefonico, colloqui, consulenza psicologica e legale, ma anche dei percorsi formativi che portano le donne all’autonomia lavorativa. Nel 2019 al centro antiviolenza Io donna, che opera nel capoluogo dal 1991, si sono rivolte 71 donne, 60 italiane e 11 straniere, tra queste ultime albanesi e rumene. Di queste 71 ben 22 hanno figli, 18 sono sposate, 16 nubili. Hanno subito tutte violenze e maltrattamenti domestici in relazioni coniugali o di convivenza. Quarantacinque di loro hanno iniziato un percorso e 29 hanno sporto denuncia contro i loro aggressori. “Questo è un segnale forte – spiega Lia Caprera, responsabile del Centro Io donna – è la dimostrazione che le donne vogliono affrontare la situazione di violenza e vogliono cambiare la loro vita”. L’età più diffusa è quella che va dai 18 ai 29 anni (11 casi) e dai 40 ai 49 anni (15 casi). Gli uomini violenti per la maggior parte sono partner ed ex partner, ma ci sono anche tre padri che hanno fatto violenza nei confronti delle proprie figlie, e 4 colleghi con atteggiamenti morbosi e persecutori. Sia le vittime che  gli aggressori non possono essere iscritti in una categoria sociale, è un fenomeno trasversale, non ci sono zone franche. Sono coinvolti liberi professionisti, operai e disoccupati. Vale anche per le donne. “La fase più difficile per una donna è la denuncia e la separazione – aggiunge Caprera – Dopo la denuncia non ci sono misure abbastanza stringenti che tutelano le vittime. L’uomo diventa nella maggior parte dei casi più aggressivo. Poi ci sono le lungaggini processuali che molto spesso scoraggiano le vittime. Il problema poi è quello dell’autonomia economica, questo a volte frena le denunce. Ci sono casi in cui una donna che vuole ricominciare e trova un lavoro deve fare i conti con il suo ex che si presenta sul posto di lavoro e crea problemi”.

Due giorni prima di Natale una delle donne che ha ricevuto assistenza dal Centro Io donna ha regalato una pergamena alle operatrici: “Sono venuta qui piena di dolore – c’è scritto sul foglio – ed ho pianto tanto, ma non mi sono mai sentita sola con voi accanto a noi, che ogni giorno dobbiamo lottare per poterci pian piano rialzare. Il vostro aiuto per noi è importante avete sempre una parola rassicurante spiegandoci che tutto passerà e non bisogna mai perdere lucidità. Anche quando pensiamo di cadere nella tristezza dobbiamo cercare motivazioni sane per fare chiarezza. Perché in fondo non siamo noi sbagliata ma siamo state soltanto donne sfortunate. Abbiamo trovato uomini “forti” nel farci violenza ma abbiamo detto basta. E questa è la differenza”.

Donne che ricominciano tutto da capo che devono ricostruire la propria dignità e la propria identità. Ed è proprio sul dopo che bisogna puntare. “È necessario – conclude Lia Caprera – creare un vero coordinamento tra i servizi e gli attori che con ruoli diversi entrano nelle storie di queste donne e dei loro figli. Ma bisogna anche operare sugli uomini, che devono intraprendere dei percorsi monitorati. La violenza non deve essere sottovalutata. Servono finanziamenti per le case rifugio e per i centri antiviolenza per poter attivare iniziative che portino le donne all’autonomia. Noi offriamo tutto il nostro sostegno, in alcuni casi aiutiamo anche economicamente. Ma serve anche un lavoro sulla società e nelle scuole. Sino a quando non cambierà lo status della donna nella società, ci sarà sempre quella concezione patriarcale che farà sentire l’uomo più forte”.

Lucia Portolano

 

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