BRINDISI- (Da Il7Magazine) fogli scoloriti disegnano case e volti sorridenti ma nei loro occhi portano la tristezza di chi in un attimo ha perso tutto. Sono i bimbi di Durazzo, sono quei bimbi a cui il terremoto dello scorso 26 novembre ha distrutto tutto causando la morte di 50 persone e il ferimento di circa 2mila persone. Un susseguirsi di scosse sismiche, la prima delle quali, la più forte, si è verificata alle 3.55 della notte del 26 con una magnitudo di 6.6, epicentro Durazzo. Circa 900 edifici a Durazzo e oltre 1.465 nella capitale Tirana hanno subito gravi danni e quattro giorni fa il premier Rama ha annunciato concluse le ricerche dei superstiti. In un clima di devastazione e morte gli angeli del soccorso sono giunti da ogni dove per portare il proprio aiuto. Da Brindisi quattro volontari della Protezione Civile di Torchiarolo, coordinati dal presidente Giovanni Liaci, sono partiti e arrivati a Durazzo appena qualche ora dopo la tragedia. A raccontare questa esperienza incredibile e dolorosa è Angela Flores che insieme ai suoi colleghi, Raffaele Perrone, Giorgio De Giuseppe e Mattia Ragione, per sette giorni si è occupata di centinaia di sfollati ed ha accolto tra le sue braccia decine di bambini impauriti.
“Siamo partiti la notte del 26, eravamo in quattro- racconta Angela- Raffaele Perrone e Giorgio De Giuseppe sono andati a Bari ed hanno preso il traghetto , mentre io e Mattia Ragione siamo saliti a bordo di un elicottero militare decollando dall’aeroporto di Brindisi. Siamo stati i primi ad arrivare sul posto insieme ai responsabili delle altre Protezioni civili ed ai militari. Alle 23, a meno di 24 ore dal terremoto, eravamo nel campo sportivo di Durazzo. Siamo stati noi a montare le tende in emergenza perché le persone avevano bisogno di un alloggio”.
Angela, volontaria della Protezione Civile da sette anni, quando arriva a Durazzo trova la devastazione intorno a sé, in uno scenario apocalittico la gente si muove senza una meta cercando aiuto. Intere famiglie con in braccio i propri bambini cerca un rifugio tra il freddo e la fame.
“Abbiamo montato inizialmente dodici tende sino alla mattina alle nove, poi ci hanno trasferiti nel porto di Durazzo dove ci hanno fatto salire su di una nave militare lì ormeggiata per farci riposare sino al pomeriggio- dice- poi ci hanno ritrasferiti sul campo per continuare a montare le tende che alla fine erano circa una quarantina. Tutto questo mentre altri due miei colleghi montavano un altro campo per l’alloggio dei volontari”.
La Protezione Civile a Durazzo viene spostata da un campo ad un altro, è una corsa contro il tempo perché gli sfollati arrivano a centinaia. “Abbiamo cominciato a spostarci a dieci chilometri da Tirana perché nel frattempo alcuni sfollati erano stati trasferiti lì. In pratica montavamo tende là dove portavano gli sfollati. C’erano tanti bambini, loro sono stati la nostra emozione più grande. I bambini ti venivano incontro , ti abbracciavano e noi cercavamo di farli giocare- racconta, ancora, emozionata-I bambini disegnavano e alcuni coloravano case e dicevano: vorrei la mia casa. E’ stata un’emozione unica nel suo genere, mi si riempivano gli occhi di lacrime e mi tremava il cuore. Questi bambini non avevano nulla, mancavano di tutto, non avevano neppure di che coprirsi. Noi abbiamo cercato di distrarli, è normale per chi perde tutto, non può tornare a casa e prendere i suoi affetti personali si sente perso. In noi volontari vedevano un aiuto. Io camminavo per strada e la gente mi fermava per abbracciarmi e ringraziarmi: “Grazie di cuore- dicevano- grazie italiani”.
Angela non è abituata a questo tipo di emergenze, per lei è la prima volta e lo scenario davanti al quale si trova la stordisce. “Quando sono arrivata ho visto solo macerie e la gente che camminava con le buste in mano e le coperte. C’era anche gente che dormiva in auto. Faceva freddo e il tempo in quei giorni non è stato dei migliori. Una notte ha piovuto così forte che ci siamo spaventati, eravamo in tenda ma era come stare fuori all’aperto. Poi continuavamo a sentire le scosse. Ci siamo ritrovati a sentire la terra che ci tremava sotto i piedi , più forte di come l’avevamo sentita in Italia. La nostra preoccupazione era : che cosa può succedere ancora? Che cosa facciamo?
Poi ovviamente non avevamo acqua e per tanti giorni non abbiamo avuto la possibilità di lavarci”. I volontari della Protezione Civile di Torchiarolo sono rimasti sette giorni in Albania in condizioni davvero precarie ma senza mai scoraggiarsi. I volontari di Torchiarolo avevano persino portato con sé un pulmino nove posti pensando che potesse essere utile per gli spostamenti o per trasferire la gente.
“Siamo stati coordinati da uno dei nostri responsabili, Salvatore Bisant, ma è il presidente della mia associazione è Giovanni Liaci che dobbiamo ringraziare perché ha scelto noi quattro e si è fidato di noi per portare soccorso in Albania- aggiunge Angela- Io sono volontaria da sette anni, per me era la prima esperienza in questi casi, in situazioni di emergenza così complesse. Era la prima esperienza anche per Mattia Ragione, lui è diventato volontario solo qualche mese fa, mentre gli altri due colleghi, Giorgio De Giuseppe e Raffaele Perrone avevano già partecipato a missioni di soccorso difficili come quelle nelle zone alluvionate. Nonostante io e Mattia non avessimo esperienza abbiamo subito detto che eravamo disponibili a partire. Non avevamo mai montato una tenda e all’improvviso ci siamo trovati catapultati in una realtà che non conoscevamo, era nuova, difficile ma ci siamo adattati sin dal primo momento. Non abbiamo sentito ne la stanchezza e ne la fame perché il nostro obiettivo era aiutare il prima possibile chi aveva bisogno, chi non aveva più un tetto sopra la testa”.
Angela è rientrata in Italia il 2 dicembre scorso a malincuore e il suo pensiero è sempre lì tra quei bambini ai cui con un disegno e una partita a pallone è riuscita a strappare un sorriso.
“Ho lasciato una situazione comunque precaria, sono tornata perché ci hanno detto di tornare , c’erano già tanti volontari, in tutto eravamo circa 200 provenienti da tutta Italia, c’era la Croce Rossa, i cinofili, i vigili del fuoco, l’esercito. Ma se mi avessero chiesto di rimanere io sarei rimasta, perché volevo continuare ad aiutare la gente e tutti quei bambini che portavano la tristezza negli occhi- dice- Penso a quei bambini nelle tende , senza una casa e chissà per quanto. In questi giorni stavano verificando la situazione , gran parte delle abitazioni sono inagibili. Per tutti loro sarà un Natale molto triste.
Lucia Pezzuto per Il7Magazine
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