“La flat tax una svolta per la crescita del Paese”

INTERVENTO  / Una rivoluzione che è tale solo sulla carta non può definirsi realmente tale. In altri termini, qualora il pacchetto di norme che sta introducendo  – in un progetto triennale – la Flat Tax nell’ordinamento tributario italiano rimanesse recluso nelle pieghe di un testo di legge, senza trovare giusto apprezzamento e quindi effettiva applicazione da parte dei contribuenti cui è destinato, non si potrebbe certo dire che sia in atto nel nostro Paese una vera rivoluzione fiscale.

Ad un anno dall’introduzione – esaurito solo il primo step del progetto – pare che invece  qualcosa stia veramente iniziando a muoversi e che qualcosa possa davvero cambiare e rappresentare una svolta per questo Paese e la sua economia.

Sono recentissimi i dati pubblicati infatti  dal Sole24Ore circa il numero di partite Iva aperte in Italia nel 2018 (196mila circa) con un incremento del 7,9%  rispetto all’anno precedente e con ben il 57% di esse che hanno aderito ab origine al regime forfettario improntato sul meccanismo della Flat Tax (aliquota unica fino ad un fatturato di 65mila Euro che diventerà del 20% nel 2019 per i fatturati fino a 100mila Euro). La platea dei detrattori, da ultimo l’ex ministro dello Sviluppo economico dei Governi Renzi e Gentiloni Carlo Calenda, ieri sera da uno studio televisivo, asserisce che nei fatti a questo incremento delle partite IVA corrisponderebbe una diminuzione del numero degli occupati con contratti a tempo indeterminato, come se, in altri termini, i secondi si fossero travasati nelle prime. Chi lo sostiene forse ignora le norme che disciplinano l’istituto della Flat Tax, e che, anche attraverso un’ulteriore modifica introdotta dal recente Decreto Crescita, statuiscono che le persone fisiche la cui attività di lavoro autonomo sia esercitata prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro (o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d’imposta), ovvero nei confronti di soggetti direttamente o indirettamente riconducibili ai suddetti datori di lavoro, non possono aderire al regime in forfettario (Flat tax) in oggetto. È del tutto evidente che questa norma ha carattere antielusivo ed è diretta ad evitare il fenomeno paventato da qualcuno che maldestramente sta cercando di contrastare politicamente la riforma in atto.

A questi riscontri pubblicati dal Sole24Ore fa solo da corollario l’ottima riuscita del Flat Tax Day dell’11 maggio scorso che ha visto i gazebo dei comitati Flat tax presenti in moltissime piazze d’Italia riempirsi di persone desiderose di informarsi, comprendere e confrontarsi. Il tavolo tecnico nazionale che sta lavorando al progetto è in piena operatività per estendere (secondo step) il meccanismo della “tassa piatta e unica ”  (Flat Tax) anche alle famiglie che dal 2020 potranno essere soggette ed una sola imposta attraverso un’aliquota unica sul reddito del nucleo familiare abbattuto da deduzioni direttamente proporzionali al numero dei componenti il nucleo stesso proprio al fine di rispettare i citati criteri di progressività – così come statuito dall’art. 53 della nostra Costituzione.

Il terzo step riguarderà a tempo debito le società. Il verbo “potranno” non è usato a caso dal momento che una della peculiarità della Flat Tax è la sua natura opzionale rispetto al regime di tassazione tradizionale; a ciò è connessa l’introduzione di una clausola di salvaguardia che permette al contribuente di scegliere il sistema di tassazione più conveniente in funzione del proprio profilo fiscale e familiare. Ma andiamo con calma. Attualmente il codice tributario prevede che le persone fisiche (imprenditori individuali, professionisti, dipendenti, pensionati etc.) siano soggette al citato regime di tassazione “ispirato ai criteri della progressività”– che prevede aliquote crescenti associate a  scaglioni di reddito crescenti;  cinque aliquote per cinque scaglioni dal 23% fino a 15.000 Euro di reddito annuo (al lordo della nota tax area)  fino al 43% oltre i 75.000. Già questo primo rilievo evidenzia come esistesse già un “appiattimento” verso una sorta di Flat tax per i redditi medio-alti (oltre i 75mila Euro annui) i quali da questo importo in su vengono tassati con un aliquota fissa del 43%; ciò implica che coloro che risentono realmente delle aliquote crescenti ispirate al principio costituzionale della progressività siano in realtà i titolari di redditi medio-bassi che invece con la riforma sono incisi da un’aliquota unica (15%) peraltro più bassa della minima ad oggi in vigore (23%) e senza che sia pregiudicata l’applicazione della no tax area ancora una volta parametrata secondo principi di progressività. Questo meccanismo nelle previsioni di chi lavora a questo progetto, supportate dalle esperienze di altri  Paesi europei dell’area Balcanica quali Ungheria, Romania, Bulgaria, Ucraina, Georgia come anche di Paesi baltici come Estonia, Lituania, Lettonia nei quali la Flat Tax opera, è in grado di innescare un circolo virtuoso per cui la maggiore liquidità in mano alle persone fisiche derivante dal minor carico fiscale pro-capite genererebbe una crescita della domanda interna cioè dei consumi con evidenti riflessi in  termini di produzione industriale, e come indotto effetti espansivi sul terziario e sul  livello occupazionale, oltre che in quelli di attrattività di investimenti e capitali esteri.

L’innescarsi di tale circolo virtuoso non è frutto di teorie avveniristiche ma il risultato di evidenze empiriche supportate da studi scientifici tra i quali si annoverano quelli formulati dal economista statunitense, Arthur Laffer, sostenitore della Supply side economics, che dimostrano come il gettito fiscale sia direttamente sì proporzionale all’aliquota di imposta ma fino ad un certo punto e fino al raggiungimento di un determinato livello di pressione fiscale oltre il quale, il gettito inizia a calare  per via della mancata convenienza ad investire e produrre ovvero a causa della chiusura e/o fallimento delle imprese ovvero ancora come conseguenza della scelta degli imprenditori di delocalizzare all’estero la loro attività o le loro sedi produttive.

L’obiettivo della Flat Tax in tal senso va individuato in una sorta di riequilibrio della tassazione necessariamente più sostenibile (perché ispirata a criteri di maggiore equità) senza pregiudizio per gli interessi erariali che al contrario verrebbero a beneficiarne per l’innescarsi dei citato circolo vizioso (minore pressione fiscale, maggiore liquidità, maggiore consumi, maggiore produzione industriale, crescita del terziario e dei servizi, minore delocalizzazione, incremento dei livelli occupazionali, maggiore attrazione di capitali esteri, maggiore crescita, maggiore gettito).

Per ultimo ma non per importanza, va ricordato che la Flat Tax reca una notevole semplificazione del sistema fiscale che al momento consegna all’Italia il primato quanto a complessità e burocratizzazione, con la conseguenza di essere ancora meno attrattivi per gli investitori esteri e di generare tutti i costi sociali derivanti da un’enorme mole di accertamenti tributari.

 

Gianluca Alparone

Componente Tavolo Tecnico Nazionale Flat Tax.

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