BRINDISI – “La conoscenza illumina il cammino”, non è il caso delle strade che costeggiano il Polo della Cittadella della Ricerca, che ormai è al buio da quattro mesi circa. A parlare è il rappresentante ADISU del Polo di Brindisi che racconta di aver tentato di far risolvere il problema, ma ancora nessuna risposta.
Torquato Gagliani, 23 anni, è uno studente d’Ingegneria industriale dell’Università del Salento presso il Polo di Brindisi, ma dall’ottobre 2018 è anche il rappresentante ADISU e in quanto tale si fa carico delle problematiche degli universitari della Cittadella. In questa struttura vi sono sia gli studenti dei corsi di Ingegneria industriale e Aereospaziale del polo dell’Università del Salento, ma anche i tanti ricercatori di Enea, Cetma, Cnr e altre società. Da mesi ormai gli studenti del polo di Brindisi sono costantemente esposti a rischio, poiché tutte le strade che costeggiano l’università brindisina sono prive d’illuminazione. Questo porta con sé diversi disagi. In primis per gli studenti diventa pericoloso uscire fuori dal plesso per andare a ritirare le eventuali auto, ma soprattutto recarsi alla fermata dei bus. In particolare la fermata dei trasporti urbani Fse si trova proprio sul ciglio della strada. “Per raggiungere la fermata – racconta uno studente – dobbiamo illuminare la posizione con il flash dello smartphone sia per richiamare l’attenzione del pullman , sia per segnalare la nostra presenza ad altre macchine di passaggio ed evitare che la situazione sfoci in un incidente”. Il buio che attanaglia gli studenti nelle ore dopo il tramonto diventa pericoloso anche per l’incolumità fisica degli stessi universitari, che potrebbero nel peggiore dei casi essere aggrediti o derubati da un delinquente qualsiasi che sfrutta l’assenza dell’illuminazione a suo favore.
Per tutte queste motivazioni, il rappresentante Gagliani si è messo in contatto sia con la Provincia che con il Comune di Brindisi, inviando delle apposite mail, nelle quali è stato spiegato in modo puntuale il disagio in cui vertono gli studenti, ma soprattutto la pericolosità della situazione. A un mese dall’invio della mail gli universitari non hanno né visto risolversi il problema, né tanto meno hanno ricevuto una risposta.
Alberta Esposito
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