MESAGNE – Educazione alla legalità, gli studenti dell’Istituto “Ferdinando” intervistano il Procuratore di Brindisi Antonio De Donno. L’incontro, avvenuto grazie al progetto “Se la gioventù le negherà il consenso …” e proposto dal Comune di Mesagne in collaborazione con Libera si concluderà a fine maggio. Con De Donno si è approfondita la nascita e lo sviluppo delle mafie in Italia e in Salento.
A porre le domande al Procuratore, gli studenti delle classi terze e il presidente del Consiglio comunale, Giuseppe Semeraro. Presenti all’incontro anche gli alunni coinvolti nel progetto “Marcella torna a casa”.
I ragazzi partono dalla sfera privata del Procuratore e da eventuali minacce subite. “In questo periodo la mafia non minaccia, utilizza mezzi più subdoli per ricattare, come quello del “discredito” – spiega De Donno – Tentativi di screditamento sono stati continui e continuano ad esserlo anche adesso”. Il Procuratore spiega che questo non è un lavoro che si sceglie, ma che si compie perché convinti che sia importante nell’’interesse della collettività, nonostante le difficoltà dei primi anni. “Non era facile entrare nelle Direzioni Distrettuali Antimafia, da sottolineare che le prime furono costituite su base volontaria, fummo interpellati per sapere chi voleva entrarci perché era ed è tuttora pericoloso per i magistrati inquirenti, ma nessun magistrato inquirente italiano si tirò indietro. A maggior ragione dopo l’attentato di Falcone e Borsellino”.
De Donno spiega perché è nata la Scu nei primi anni ’80, quando la Camorra ha cominciato ad allungare le mani sulla “Puglia felix”, sino ad allora priva di infiltrazioni criminali: un gruppo di pregiudicati decise di organizzarsi per contrastare questa minaccia, diventando tale, “mirando a controllare i traffici di droga, di contrabbando, e in più a imporre le tangenti sulle attività commerciali, soprattutto le discoteche”.
Il Procuratore risponde a diversi quesiti, spaziando dai processi che più lo hanno colpito (“L’omicidio di Daniele Perrone, ucciso perché creduto un confidente dei carabinieri”; l’attentato dinamitardo fallito nel 1992 sui binari del treno Lecce –Zurigo e l’arresto di 12 persone, tra cui un 18enne che confessò di aver commesso 11 omicidi di mafia”) sino all’evoluzione della Scu dal fondatore, Giuseppe Rogoli, sino alla sua trasformazione con maggiore presenza nell’ambito economico ed imprenditoriale. De Donno definisce la Scu come una “mafia imprenditrice, che altera il regime della libera concorrenza e conduce al fallimento delle altre aziende.
Ma qual è la percezione che i giovani hanno della mafia? “Ha un potere intimidatorio molto forte, ma c’è anche un comportamento esteriore che emula il metodo mafioso, come per i bulletti nelle scuole – spiega De Donno – La mafia ha ucciso alcuni uomini della Stato ma poi, quando lo Stato ha reagito, si è trovata davanti un blocco sociale, investigativo, culturale, politico, giudiziario che ha capovolto i termini della storia. E oggi la mafia è soggiogata e abbiamo bisogno di uno Stato forte perché la mafia può essere sconfitta”.
Cosa fare, dunque, contro le mafie? “Bisogna attuare una rivoluzione interiore, stare dalla parte della legalità, nei convincimenti intimi e nei comportamenti esteriori: la coerenza è fondamentale nella lotta alla mafia. Possiamo fare tanti bei discorsi, ma se quando tocca a noi chiniamo la testa, non chiediamo aiuto e non denunciamo sostanzialmente abbiamo fatto il gioco della mafia. La mafia deve essere combattuta da tutti, non solo dai magistrati, ma anche dai cittadini, che non devono avere paura, ma essere uniti per combattere. Solo così la mafia potrà essere sconfitta, perché “la mafia ha vinto delle battaglie ma sta perdendo la guerra”.
Agnese Poci
Commenta per primo