INTERVENTO/ Torniamo per un attimo a parlare del problema della continuità inerente alle diverse patologie dei nostri figli, suddividendo i casi. Parliamo di Autismo. Il Regolamento regionale “Rete assistenziale sanitaria e sociosanitaria per i disturbi sullo spettro autistico“, prevederebbe una rete di assistenza multidisciplinare e opererebbe in modo flessibile in luoghi e contesti diversi, (casa, scuola, ecc.), garantendo la continuità assistenziale tra i servizi per l’ età evolutiva ed i servizi per l’ autismo adulto; per quale motivo allora oggi siamo costretti a denunciare la totale assenza di suddetta continuità nelle scuole?
Eppure già una sentenza del Consiglio di Stato (nr.3104/2009) aveva garantito il diritto alla continuità educativo- didattica attraverso “la presenza stabile di un educatore che segua costantemente l’ alunno disabile nel processo di integrazione scolastica”. Il Consiglio di Stato, si esprimeva nell’ anno 2009, asserendo come “il continuo cambiamento dell’ educatore e dell’ insegnante di sostegno,[avesse] compromesso l’ omogeneità e la continuità dell’intervento individuale in favore del soggetto disabile”. Quindi, potremmo serenamente asserire che viene continuamente violato il diritto della persona disabile alla continuità, sulla nomina dell’educatore deputato alla sua assistenza.
Dovremmo rivolgerci nuovamente al Consiglio di Stato il quale si era già espresso in maniera inequivocabile? Evidentemente si! Potremmo estendere il principio della validità della continuità assistenziale a tutti i disabili gravi, dal momento che la sentenza si esprime a favore della presenza stabile di un educatore che segua appunto l’ alunno con disabilità grave, (art.3 com.3 legge quadro 104/92). È auspicabile quindi che, detta figura assistenziale, possa rapportarsi al disabile per un numero di ore giornaliere congruo, così da consentire un processo di integrazione reale ed efficace. Se cercassimo su un dizionario qualsiasi la definizione dell’ aggettivo “civile”, troveremmo significati tra loro simili, somiglianti e tutti farebbero riferimento alla nobile accezione in esso intrinseca.
Una definizione presente è, ad esempio, “rivolto a coltivare o illustrare le virtù che formano il vero cittadino e conquistano o mantengono il buon governo”, e ancora “che è caratterizzato da quel grado di sviluppo sociale, economico, culturale che comunemente si definisce come civiltà”. Il suo sinonimo è “evoluto”, “progredito”. Ebbene, l’Italia non può più fregiarsi di questo titolo, semplicemente perché non è un paese civile. Non abbiamo il diritto di rivendicare questa nobile definizione, perché abbiamo rinunciato “a illustrare qualsivoglia virtù atta a formare il vero cittadino”, nonché a quel “grado di sviluppo sociale che si definisce e si determina come civiltà”. In Italia i diritti riguardano pochi eletti, le leggi tutelano saltuariamente, il concetto di uguaglianza è opinabile. Un paese, il nostro, controverso e chiaramente discriminante, con cittadini di serie A e B. A quest’ ultima serie appartiene, evidentemente, la numerosa e variegata compagine dei disabili che non hanno diritti, ma solo pesanti incombenze che, loro malgrado, assolvono. Soprattutto non hanno voce per urlare allo scandalo contro chi, con squallide manovre economiche, li depreda delle elemosine che, con annose e difficili battaglie, sono riusciti ad ottenere. Mi riferisco chiaramente ai tagli effettuati dalle solerti regioni a discapito, appunto, dei disabili e delle loro famiglie. Chi si ferma è perduto e, noi disabili, osserviamo e non ci fermiamo.
Abili al Sorriso
Rita Dell’Erba
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