Lascia guidare l’amico fatto di “coca”, la storia di Marco morto a 26 anni

BRINDISI- (Da IL7Magazine) Una serata in discoteca e un bicchiere di troppo, Marco, 26 anni militare dell’esercito, non ci ha pensato due volte a dare le chiavi della sua auto all’amico chiedendogli di guidare al posto suo, questo gesto di responsabilità però non gli è bastato  a salvargli la vita. E’ buio, l’auto sbanda, esce fuori strada e si schianta, il conducente aveva assunto cocaina.

E’ il 5 maggio del 2010 quando Marco Bungaro, 26 anni di Brindisi, muore dopo tre giorni di coma. E’ questa una delle tante storie di sangue consumate sulle strade, è anche la storia di una famiglia che dopo sette anni non si arrende al dolore e lotta affinché  altri genitori non debbano vivere il dramma di perdere un figlio.

Nando Bungaro ed Emy Piliego non possono e non vogliono dimenticare nulla di quei giorni in cui il loro ragazzo, Marco, se ne andato sotto i loro occhi.

“Era tornato a Brindisi per tre giorni, aveva avuto una licenza breve- racconta mamma Emy- Marco prestava servizio a Bracciano. Era felice di fare un salto a casa. Noi eravamo nella nostra casa al mare a San Foca. Era arrivato di venerdì e il sabato sera decise di uscire per andare a ballare in una discoteca a Maglie. Era andato con due amici. Prima di uscire da casa mi disse: “ciao mamma, ci vediamo domani”.

Quella fu l’ultima volta che Emy ascoltò la voce del figlio. Quella notte, l’uno maggio del 2010, Marco mette la sua vita nelle mani di un destino beffardo. Il 26enne ha bevuto un bicchiere di troppo e non se la sente di guidare, così chiede a uno dei ragazzi che sono con lui di prendere le chiavi della sua auto mentre lui si sistema sul sedile anteriore. Marco non lo sa che quel gesto di responsabilità, in realtà, gli costerà la vita,  perché chi si mette alla guida non ha avuto la sua stessa lucidità. Il giovane che conduce l’auto di Marco ha assunto cocaina e qualche minuto dopo aver ingranato, le marce perde il controllo dell’auto e si schianta contro il reticolato metallico messo a protezione della carreggiata  sullo svincolo Gallipoli-Lecce.  L’impatto è violentissimo, Marco ha la peggio, gli amici ne escono quasi illesi.

“Erano le otto e un quarto di domenica mattina quando è arrivata la telefonata- continua la mamma di Marco- una voce mi dice che mio figlio aveva avuto un incidente ed era ricoverato al Vito Fazzi di Lecce. Onestamente io non ci ho pensato più di tanto, ho preso la biancheria di Marco, le sue pantofole, il pigiama, immaginando ciò che potesse servigli visto che era ricoverato. Quando invece sono arrivata in ospedale i medici mi hanno detto: “signora suo figlio è in coma”.

In un attimo la vita di Emy e di Nando è stravolta, il loro ragazzo è in letto di ospedale immerso in un sonno profondo, senza fine. Il mondo crollo loro addosso.

Per tre lunghissimi giorni questi genitori restano accanto al figlio nella speranza che da un attimo ad altro si possa svegliare e che la loro vita possa riprendere come se nulla fosse successo.

“Ci speravamo, fino all’ultimo ci abbiamo creduto ma poi i medici ci hanno detto che non c’era più nulla da fare, Marco non c’era più- dice Emy- morte celebrale. Era finita ed io non potevo crederci. Poi ci hanno detto che lo avrebbero attaccato a una macchina e che avremmo avuto sei ore di tempo per decidere se donare o meno gli organi. Io ho pensato che forse non era finita, che finché quella macchina lo avesse tenuto in vita lui si sarebbe potuto svegliare ma poi mi hanno detto che non era possibile. Allora io e mio marito abbiamo preso la decisione più difficile che due genitori possano prendere: abbiamo donato gli organi di Marco”.

La morte di Marco non resta inutile e salva la vita a quattro persone. Cuore, due reni e il fegato ridanno speranza a chi non ne aveva più.

“Ho pensato che una parte di mio figlio potesse continuare a vivere per questo ho accettato di donare i suoi organi- dice Emy- in realtà quando perdi un figlio è come morire dentro”.

Il dolore dei genitori di Marco diventa ancora più insopportabile quando Nando ed Emy affrontano la causa giudiziaria che determina le responsabilità di questa immane tragedia. Nel 2010 la legge non ha ancora riconosciuto l’omicidio stradale e la burocrazia va per le lunghe.

“La macchina era di mio figlio, ma a guidarla era un altro ragazzo risultato positivo ai test tossicologici- dice Emy- quel ragazzo aveva assunto cocaina. Questa cosa mi ha fatto tanta rabbia, Marco sapeva di aver bevuto e non si era messo alla guida, quel ragazzo invece l’ha ucciso perché non era lucido”.

Il ragazzo alla guida, positivo alla cocaina, patteggia la  pena. Il giovane chiede scusa ai genitori di Marco ma questo non attenua il dolore.

“Il giorno del funerale di mio figlio- racconta Nando con amarezza-  il padre di quel ragazzo mi si è avvicinato e mi ha detto: mi spiace ma io devo proteggere mio figlio”.

Nando ed Emy non si sono mai arresi e come, purtroppo tanti altri genitori che hanno vissuto questo dramma, hanno aderito all’Associazione Flavio Arconzo- Vittime della strada e della giustizia. Oggi sono impegnati nel sensibilizzare i ragazzi sui pericoli della guida, si recano nelle scuole e raccontano la storia di Marco con la speranza che possa servire a salvare una vita. Ragazzi che bevono, si drogano o semplicemente si distraggono e in un batter d’occhio spezzano i loro sogni. Nella provincia di Brindisi negli ultimi sei mesi le vittime della strada sono state 14, un record impressionante, ma lo è ancora di più se si considera che oltre la metà di questi incidenti sono quelli che la stradale chiama “incidenti autonomi”, ossia auto che si schiantano sole senza il coinvolgimento di altri mezzi. Su 14 vittime, tutte molti giovani, età media 31 anni, ve ne sono molte che sono risultate positive a droga e alcol.

“Lo ripeto sempre ai ragazzi con cui parlo- dice Emy- la vita è una sola e bisogna stare attenti”.

Nel 2013 i genitori di Marco hanno avuto una sorpresa inattesa, una donna li ha contattati su facebook dicendo di essere la figlia di una delle persone che hanno ricevuto gli organi di Marco. Emy e Nando così hanno incontrato Giovanni Martemucci, 65 anni di Potenza, lui ha il cuore del loro figliolo.

“E’ stato importante per noi conoscere chi ha avuto il cuore di nostro figlio- ha detto papà Nando- ci siamo visti a Roma. Ci siamo abbracciati e abbiamo trascorso del tempo insieme. Lo guardato ma ovviamente non era Marco”.

Lucia Pezzuto per IL7 Magazine 

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