Viaggio tra gli ascensori del Perrino, ecco cosa succede tra un piano e l’altro

BRINDISI – A 4 giorni dalla tragica morte di un bambino appena nato da una donna che ha dovuto affrontare un tragitto all’aperto per raggiungere la sala operatoria a causa di un elevatore fuori uso, gli ascensori della struttura, nell’occhio del ciclone da un paio di mesi, non sono presi d’assalto: le scale che portano ai dieci piani dell’imponente edificio, in un sabato mattina qualunque, in effetti, sono molto più trafficate. Il perché è presto detto: per capirlo, basta avvicinarsi a una qualsiasi delle cabine e premere il pulsante che richiama l’ascensore al piano.

In un’ora d’orologio passata a “testare”, molto empiricamente, l’impianto, solo 2 ascensori hanno regolarmente funzionato. Tutti gli altri non hanno dato segni di vita o si sono comportati in maniera bizzarra. Quello della scala E, quella retrostante il pronto soccorso, ma nelle altre scale la situazione non cambia, dal nono piano, si è rifiutato di scendere al piano terra, consentendo al massimo di arrivare al primo. Dopo una rampa di scale, ecco che arriva, inspiegabilmente, dopo averlo pregato per diversi minuti, al piano zero, quasi a volersi prendere gioco degli utenti. I fruitori del servizio, toccando con mano quotidianamente questo tipo di situazione, sono ormai rassegnati allo stato delle cose e, per paura di rimanere bloccati dentro o per la consapevolezza della precarietà del funzionamento del sistema, non perdono neanche il tempo a pigiare il bottone e incrociare le dita per sperare in un arrivo celere e in un’altrettanto celere ripartenza. Quando qualcuno lo fa, di solito per raggiungere i piani più alti dell’ospedale, è un terno al lotto.

«Devo andare al nono piano – spiega un anziano signore – qui dice un po’ che sta al decimo e un po’ che sta allo zero». Il signore era al primo piano e, da svariati minuti, osservava incredulo il display a led posto a fianco della porta dell’elevatore che segnava a momenti il numero 10, facendo sparire, un istante dopo, la barra corrispondente all’1 e indicando lo zero. Dopo una lunga e infruttuosa attesa, nonostante l’età, la decisione: «Ho capito, meglio che vado a piedi. Saranno anche otto piani ma, uno scalino dopo l’altro, è sicuro che ci arrivo». Una signora, carica di borse e borsoni, uscendo da un reparto sito al quarto piano, ragiona ad alta voce senza neanche voltarsi verso la cabina: «Meglio le scale, non mi fido di questi ascensori».

È più o meno questo il sentimento più diffuso tra l’utenza del Perrino. Almeno tra i visitatori: nei reparti dove non si può entrare e dove al centro delle sale si trovano gli ascensori più ampi, quelli per il trasporto delle barelle, comunque, la situazione non è diversa: i cartelli che indicano le cabine non funzionanti fanno da corredo a molti ascensori. Tornando al nono piano, scendere giù con uno degli elevatori riservati ai visitatori è impossibile ma questa non è una novità. Eppure non c’è l’ormai famoso tagliandino bianco, blu e rosso che indica che il sistema è fuori servizio. Scendendo giù per le scale, all’ottavo piano, ecco apparire il cartoncino colorato.

Proseguendo giù, la segnaletica appare e scompare da cabina a cabina: pur essendo la stessa colonna e lo stesso ascensore, a seconda del piano in cui ci si trova, l’indicazione del sistema fuori uso appare e scompare, probabilmente per mano di qualche “burlone”. Questo perché agli elevatori guasti si deve aggiungere una buona dose di mancanza di senso civico che si legge partendo proprio dai muri delle scale: migliaia di scritte imbrattano tutti i reparti col picco, naturalmente, raggiunto dal reparto maternità: «Oggi, tale giorno, alla tale ora, è nato/a…» con nome cognome, peso e provenienza del nascituro che, suo malgrado, si è guadagnato presto l’antipatia di chi un po’ di senso civico ancora ce l’ha.

A questo, diversamente dal problema ascensori, pare proprio non esserci rimedio: se per gli elevatori il problema risiede in un’azione sistematica di sabotaggio o nell’usura degli impianti, si dovrebbe riuscire, anche in tempi ragionevolmente veloci, a invertire il trend che ha sfiancato pazienti, personale e visitatori. La maleducazione, purtroppo, è uno dei primi insegnamenti che alcuni ricevono: tra vent’anni, probabilmente, i neonati i cui nomi e dati sensibili campeggiano sui muri dell’ospedale torneranno qui a sovrascrivere il nome dei loro figli sui propri, finché il muro non diventerà un enorme e incomprensibile scarabocchio, elogio del caos e dell’inutilità.

Maurizio Distante

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