Caso Latiano, le case famiglie si ribellano: «Le persone assistite sono ben integrate»

LATIANO – Dopo l’appello lanciato dal sindaco Antonio De Giorgi ai suoi cittadini contro la “criminalizzazione del disagio”, a due settimane dal gravissimo episodio avvenuto a Latiano nella gioielleria Rizzo, gli operatori del terzo settore, coloro i quali gestiscono le strutture residenziali come quella in cui si trovava, in regime degli arresti domiciliari, il criminale entrato in azione il pomeriggio del 5 dicembre, hanno deciso di dire la loro, mettendo nero su bianco i numeri, le motivazioni e i convincimenti in difesa del ruolo sociale svolto da questo tipo di residenze.

«Di fronte a fenomeni così vasti e sconvolgenti – si legge nella lettera inviata alla stampa – oltre all’allarme, che ha sempre una durata effimera, sono necessarie riflessioni approfondite sulle cause economiche, sociali, psicologiche, politiche che producono le degenerazioni di massa; sul ruolo della scuola, della famiglia, delle istituzioni, della cultura e dell’informazione, dei gruppi civili intermedi. È necessario il coinvolgimento dei principali attori della società nella ricerca dei possibili rimedi. Ciò che sicuramente è controproducente, perché porta alla regressione sociale e culturale, alla limitazione dei diritti, alla perdita di senso e dei valori, è la caccia alle streghe, la superficiale indicazione di un capro espiatorio, l’istigazione della paura e dell’odio sociale, la strumentalizzazione dei sentimenti e delle emozioni collettive».

Il riferimento degli operatori è a un lettera circolata in paese in cui si punta il dito contro le case famiglia, giudicate troppo numerose, e si chiede, tra le altre cose, un intervento istituzionale per spostare le strutture fuori dal perimetro del centro abitato. La richiesta, probabilmente, è provocatoria anche perché non si può pensare alla creazione di una “cittadella ghetto” entro cui confinare il disagio mentale, fisico, sociale. Se la proposta avesse un qualche fondamento, potrebbe facilmente essere accomunata, insieme ai suoi promotori, all’eugenetica dal profumo vagamente nazista.

«Senza voler in alcun modo minimizzare la gravità di quanto avvenuto ed esprimendo la più sentita solidarietà e vicinanza alle vittime, con la serenità e la pacatezza che ci contraddistinguono ci corre l’obbligo, da una parte, di fornire chiarimenti agli interrogativi e, dall’altra, di respingere l’attacco strumentale». I responsabili delle strutture del paese, quindi, snocciolano numeri, dati e date a riprova della sostanziale indipendenza tra il gravissimo fatto di cronaca e la presenza delle residenze da loro gestite. «Le strutture residenziali ubicate in Latiano esistono da svariati anni, le psichiatriche addirittura da circa 30 anni. Non ci pare che in un così lungo tempo si siano riscontrati significativi episodi criminosi attribuibili a ospiti delle stesse. Al contrario, le persone assistite sono ben integrate nel tessuto sociale e nei loro confronti vi è sempre stata una calda accoglienza. Pertanto, un episodio negativo, per quanto doloroso, non può condurre alla criminalizzazione di tutte le persone a carico delle strutture di accoglienza e alla rivincita dello stigma e dei pregiudizi verso le frange più deboli della popolazione. È chiaro a tutti che chi fa questa operazione eccede, non si sa per quali fini».

Chiarito il primo, fondamentale punto, la lettera prosegue rispondendo a tutti gli interrogativi che la vicenda ha sollevato: dai guadagni delle cooperative, ai controlli cui sono sottoposte le strutture. «Insieme alla nostra comunità, dunque, dobbiamo riaffermare il principio di civiltà che sottende all’esistenza dei servizi di accoglienza, qualsivoglia siano i destinatari degli interventi: restituire a tutti la totalità di quei diritti di cittadinanza che, indipendentemente dalla malattia, dal disagio esistenziale del momento, dall’età, dal censo e dalla nazionalità sono stati troppo e per troppo tempo alienati».

Maurizio Distante

 

 

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