BRINDISI – L’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) da tempo ha lanciato l’allarme sulla crisi dell’edilizia in terra di Brindisi. La stessa associazione due anni fa ha presentato uno studio del Cesme nel quale veniva evidenziato quello che è stato definito uno tsunami demografico che porterà la provincia di Brindisi a perdere 60mila abitanti nell’arco di 18 anni. Praticamente resteranno pochi cittadini e soprattutto anziani. Secondo le proiezioni del Cesme ci sarà la perdita di oltre 16mila residenti solo nel capoluogo entro il 2036. Il presidente della sezione Ance di Brindisi Pierluigi Francioso chiama in raccolta tutti gli attori istituzionali e sociali, imprese incluse per affrontare un problema che non può più essere rinviato. Francioso chiede scelte coraggiose alla politica.
Perché l’edilizia è andata in crisi?
“Perché siamo passati da un’economia reale ad un’economia di finanza. Alla crisi del settore privato non si è susseguito però uno sviluppo delle infrastrutture e degli investimenti pubblici, che negli anni sono venuti meno. Questo non è solo un grido di dolore del settore, ma serve a ricostruire le città sulla base di un nuovo disegno edilizio che dovrebbe tener presente le esigenze di tutti i cittadini. Serve una lotta al degrado e alla burocrazia”.
Quali sono state le conseguenze di questa crisi?
“Indubbiamente c’è stato un impoverimento del territorio. Sono chiuse tante aziende e molta gente ha perso il posto di lavoro. Inoltre ora si registra una crisi di professionalità, mancano maestri con capacità in ambito edile e paradossalmente si ha difficoltà a reperire manodopera specializzata perché nel tempo la gente ha dovuto cambiare mestiere. Bisogna comunque fare un distinguo nei territori della provincia, perché ci sono aree in cui si registrano interventi edilizi maggiori come Fasano e nella Valle d’Itria dove il turismo sta trainando anche il nostro settore”.
E a Brindisi invece cosa succede?
“A Brindisi si sente nuovamente la richiesta per l’acquisto del nuovo, ma abbiamo difficoltà a vendere perché c’è la concorrenza dell’usato che abbassa il prezzo. Inoltre le nuove costruzione devono essere contestualizzata. Serve maggiore decoro dell’ambiente circostante e servono servizi anche per quanto riguarda l’edilizia privata altrimenti si costruiscono cattedrali nel deserto”.
Cosa si può fare per aiutare questo settore a riprendere la corsa?
“Molto per questo può fare l’edilizia pubblica: servono infrastrutture, e serve manutenzione, questo non solo per il nostro settore, ma anche e soprattutto per il benessere delle comunità. Sono necessari intervenuti pubblici. In questa provincia scontiamo ancora la mentalità del massimo ribasso. Le committenze pubbliche quando affidano un appalto guardano solo al prezzo più basso e non si soffermano su qualità, affidabilità dell’azienda e serietà. Non si può quantificare tutto con il prezzo, questo agevola le piccole imprese che sul momento si possono permettere prezzi bassi ma che poi chiudono poco dopo. A questo si aggiunge il problema della burocrazia con uffici pubblici sotto organico e lunghi tempi di attesa. Poi ci sono anche le questioni legate ai beni culturali che vengono affrontate in modo demagogico”.
Ci può essere una ripresa?
“Assolutamente si, ma servono scelte coraggiose altrimenti non andremo da nessuna parte. La città ha bisogno di uno shock. Serve riscrivere un nuovo patto, dove imprese, politica e forze sociali si mettono insieme, ciascuno per il proprio ruolo, per migliorare la vivibilità e la qualità dei luoghi. Ovviamente in questo processo i rappresentati istituzionali e politici hanno un ruolo di primo piano. Ci aspettiamo che le amministrazioni pubbliche riescano a spendere i soldi per il completamento delle opere con l’utilizzo dei soldi comunitari a disposizione della Regione. Anche il Cis può aiutare, ma quelle risorse devono essere utilizzate per opere che possano rappresentare un volano per ripresa economica. E per la gestione di queste opere è necessario che vengano coinvolti i privati. Il parternariato pubblico -privato è necessario in questa fase, e va premiata la qualità. Serve avere la sostenibilità economica di ogni singolo intervento. Bisogna quindi tornare a valorizzare l’attività delle imprese altrimenti il territorio non potrà da solo uscire dalla crisi.”.
Lucia Portolano
Commenta per primo